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Graziano Mancinelli, per non dimenticare

Orgoglio della memoria equestre italiana


Lunedì 8 ottobre 2012 è stato il giorno della memoria: per volere di Nelly Mancinelli, vedova del fuoriclasse prematuramente scomparso, Don Antonio Mazzi ha celebrato una messa di suffragio su un altare posto nel maneggio coperto, nella scuderia intitolata, per volere del cavaliere, al Generale Tommaso Lequio di Assaba.
Forse la nuova generazione si chiederà "Ma chi era Graziano Mancinelli?".

Stivali rigorosamente lucidi, zuccherini sempre in tasca, rigido ordine e forte disciplina. Ma anche un grande rispetto per i cavalli.
Graziano Mancinelli, detto “Il cavaliere”, fu tra i maggiori protagonisti della scena equestre internazionale del dopoguerra con i fratelli Piero e Raimondo D'Inzeo.

Sei volte campione italiano; medaglia d'oro individuale ai Campionati Europei di Roma, nel 1963, con Rockette; medaglia d'argento individuale ai Campionati del Mondo di La Baule nel 1970, con Fidux. E ancora: medaglia di bronzo a squadre sia alle Olimpiadi di Tokio, con Rockette (1964), che alle Olimpiadi di Monaco (1972), dove, in sella ad Ambassador, è salito sul gradino più alto del podio individuale.
Nero su bianco, per non tradire la memoria di uno storico cavaliere italiano che sfugge alla cultura di chi, nel 1992, anno della sua scomparsa, era troppo piccolo, o, addirittura, non era ancora nato.

Venuto al mondo il 18 febbraio 1937, fin da bambino si impegnava nei lavori di scuderia presso la Società Ippica Romana, dove il padre si era trasferito per lavorare come istruttore.
Montava cavalli problematici da recuperare, attirando con il suo talento l’interesse del Colonnello Chiantìa. Mancinelli era un ragazzo di umili origini, che non potendosi permettere l’acquisto di un cavallo, si destreggiava con gli equini della scuola, vincendo comunque molte gare. Non perdeva tempo a invidiare i giovani benestanti della sua età. Preferiva dedicarsi con sacrificio a quanto gli era permesso. Ciò nonostante, i soci più facoltosi, ma senza dubbio, meno umili, non potendo invidiare la sua ricchezza, invidiavano il suo talento, che oscurava i binomi più blasonati della Farnesina. Un’ingiustizia che forse, qualche volta, avrà fatto cedere emotivamente questo giovane promettente e appassionato che portava in gara i cavalli della scuola con la dignità di un campione e che forse, più di una volta, avrà desiderato montare quei cavalli ben pagati e ben tenuti, chiusi nei box a un passo da lui.
Quel che è certo è che Graziano ha tenuto duro e all'età di 15 anni era già leader europeo under 18 (2 medaglie d'argento a squadre nel 1952 e nel 1953, oro a squadre nel 1954).
Fondamentale fu, per lui, l’incontro con Osvaldo Rivolta, noto commerciante milanese.
Lasciata la Farnesina, “il cavaliere” si trasferì da Rivolta, presso il circolo ippico Vigentino. Aveva 17 anni, molti cavalli da montare, molti allievi da seguire e un commercio avviato.
Ce l’aveva fatta: il suo nome si era inserito di prepotenza a fianco dei due mostri sacri della nostra equitazione, i fratelli D'Inzeo.
Improvvisamente, un colpo di scena: la morte di Osvaldo Rivolta, nel 1962, motivò la sua famiglia a vendere il circolo ippico Vigentino. Per Mancinelli, questa fase sarà stata sicuramente dolorosa: era scomparso un uomo che gli aveva permesso di essere chi era; e stava perdendo il suo circolo. In sostanza, si cominciava da capo.
In realtà, questa fase rappresentò un’ulteriore svolta: Donna Beatrice Binelli, proprietaria di una tenuta a Castellazzo di Bollate e alcuni ex soci del Vigentino iniziarono a costruire un centro ippico e Mancinelli ne divenne il direttore tecnico. Il "Castellazzo" rimarrà il suo quartier generale fino alla fine; tutt'oggi la struttura è operativa.
Nel 1980 viene eletto Presidente del Comitato Regionale Lombardo della FISE, carica che verrà rinnovata per altri due mandati consecutivi. Nel 1985 ebbe la soddisfazione di vincere a 48 anni, la Coppa della Nazioni a Piazza di Siena. Nel 1989 è stato c.t. della Nazionale di Equitazione.
Dati e numeri che parlano da soli per ricordare un grande atleta. Ma chi era l’uomo Graziano Mancinelli?
Alessandro Galeazzi lo ricorda così: “Apparentemente duro, con gli occhi di ghiaccio. Il suo tono di voce era penetrante. La sua personalità, carismatica. Comprai da lui il mio primo cavallo, Fumagallo, quando ero junior. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di conoscerlo meglio. Era un uomo dignitoso e solitario che viveva per questo sport. I cavalli riconoscevano il rumore della sua auto, gli allievi, i più facoltosi di Milano, pendevano dalle sue labbra. Per me era un idolo. Lo ritenevo un punto di riferimento. E non ero il solo. Graziano Mancinelli era un cavaliere con un senso eccezionale che attirava sugli spalti i maggiori esponenti stranieri del salto ostacoli, anche Nelson Pessoa. Quando lo speaker annunciava il suo nome- prosegue ridendo, Galeazzi- non esisteva altro se non il suo percorso. E’stato molto criticato dalla scuola militare, per la sua posizione, ma per molti di noi, e parlo di me, Lalla Novo, Giorgio Nuti, Uberto Lupinetti, Giuseppe Forte, Duccio Bartalucci, Bruno Scolari e molti altri, è stato un esempio sotto molti punti di vista. Primo fra tutti, la gratitudine verso i suoi cavalli (molti di loro hanno avuto una meritata pensione nella sua scuderia).
In secondo luogo l’agonismo, perché lui partecipava per competere e questo lo trasmetteva a tutto il team. Sono stato in squadra con lui a Roma, Hickstead, Dublino, Madrid, Barcellona – Galeazzi si interrompe e sospira- i ricordi accorrono a fiumi in questo momento. Lui era sempre prodigo di consigli. E sempre lontano dalle chiacchiere inutili. Un uomo di cavalli, un grande lavoratore, un agonista irripetibile. Il giorno del suo funerale, portando il feretro verso la chiesa, passammo davanti ai suoi cavalli. Erano tutti con le orecchie puntante e gli occhi spalancati. A me piace pensare che avessero capito, con dolore, di aver perso il miglior cavaliere che potessero desiderare. Mi piace pensare che quei cavalli abbiano condiviso con tutti noi, cavalieri a lui devoti, il vuoto incolmabile che Mancinelli ha lasciato. Lo voglio ricordare così- si commuove timidamente Galeazzi- con la cagnetta Mimina, al ristorante, mentre propone una partita a poker; o quando entrava in campo, scaramantico com’era, che toccava il ferro della fibbia prima di cominciare il suo percorso; e dopo il finish, mentre permetteva ai suoi cavalli di brucare l’erba prima di uscire dal campo. Con la sua morte, l’equitazione, ha perso il suo padre migliore, che non va dimenticato”.
Un passo di Don Giussani recita: “L’attimo in cui si educa è privo di qualsiasi significato, se non arriva da una tradizione recepita dal passato”.
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