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VINCENZO CHIMIRRI: AIUTIAMO I GIOVANI

di Umberto Martuscelli

Vincenzo Chimirri è nato il 7 dicembre del 1973. Calabrese. Negli anni della sua giovinezza più acerba spadroneggiava nei concorsi del sud: lui e suo cugino Bruno erano le stelle nascenti del Meridione d’Italia. Passo dopo passo sempre più in alto, fino ad arrivare al sogno di qualunque atleta: le Olimpiadi… ad Atene, nel 2004 (tra l’altro le ultime a cui l’Italia è riuscita a qualificarsi… ), dopo aver partecipato a un Campionato del Mondo nel 2002 e a uno d’Europa nel 2003. Lo scorso febbraio Vincenzo Chimirri è stato il capo équipe delle squadre venete che hanno preso parte a Pontedera al Campionato d’Italia indoor.

Dalla Calabria al Veneto con in mezzo i Giochi Olimpici…

«Praticamente in queste tappe c’è tutta la mia vita!».

Ad Atene 2004 cavaliere protagonista in campo nel massimo appuntamento sportivo mondiale, a Pontedera 2021 a piedi per guidare un gruppo di ragazzi in un campionato tricolore: cosa vuol dire tutto ciò?

«Vuol dire cercare di mettere la mia esperienza a disposizione delle nuove leve sperando di riuscire a creare degli atleti che possano dare tanto all’equitazione italiana».

Le piace stare a contatto con i ragazzi?

«Moltissimo. Ne abbiamo tanti di talento che hanno voglia di dedicarsi e arrivare e che per questo hanno bisogno di aiuto sia tecnico sia economico, o comunque di organizzazione. Molti ragazzi partono da zero facendo grandi sacrifici ma nonostante ciò fanno fatica perché non sono sufficientemente aiutati. Purtroppo noi sappiamo bene come nel nostro sport ci sia bisogno di tutto: non basta essere capaci e lavoratori, bisogna anche avere un’organizzazione e soprattutto cavalli che diano la possibilità di andare avanti».

Rivede anche la sua storia personale in tutto questo?

«Sicuramente sì. I miei genitori hanno fatto grandissimi sacrifici per sostenermi e darmi la possibilità di crescere nello sport. In più nascendo al sud le difficoltà aumentano, sia per raggiungere fisicamente gli obiettivi perché è davvero tutto troppo distante, sia per avere la possibilità di confrontarsi con gli altri a un certo livello di qualità. Purtroppo la differenza tra sud e nord esiste, esiste ancora oggi».

Però lei è riuscito ad azzerarla, questa differenza…

«Sì, ma con mio cugino Bruno abbiamo fatto tanta fatica… Abbiamo fatto tutto assieme, siamo cresciuti assieme, ci siamo tanto aiutati l’uno con l’altro: così quando oggi vedo ragazzi che hanno bisogno di aiuto mi prodigo per darglielo, se posso, perché so quanto è dura e so benissimo quanti sacrifici abbiamo dovuto fare Bruno e io. Poter dare una mano ai giovani è una cosa che mi emoziona, mi emoziona molto».

Che differenza c’è tra l’essere protagonista in sella ed esserlo a piedi? Quale delle due dimensioni preferisce?

«Beh, sono cose davvero molto diverse. In sella si pensa a dare il meglio per raggiungere l’obiettivo massimo: quando ci si riesce si prova una soddisfazione personale enorme. A piedi nel ruolo di istruttore, tecnico o capo équipe ci si sente caricati di una responsabilità maggiore non solo nei confronti dei cavalieri, ma anche di tutto il mondo circostante. In ogni caso due situazioni che regalano emozioni forti, fortissime».

Lei è stato un cavaliere di bravura davvero fuori dalla norma, però la sua carriera ad alto livello è finita relativamente presto… Perché? È stata una sua scelta oppure le cose sono andate così suo malgrado?

«Mah… diciamo che è stata una mia scelta solo in parte: anche perché io avrei ancora voglia, e anzi spero di poter dare ancora qualcosa a livello sportivo. La verità è che così come esiste una forte differenza in Italia tra sud e nord, c’è anche una grande differenza in Europa tra l’Italia e i Paesi del settentrione, quel nord dove lo sport equestre vive una dimensione ben più ampia rispetto alla nostra. Del resto lo vediamo con i nostri occhi: non tutti, ma la maggioranza dei cavalieri italiani che rimangono ad alto livello agonistico in modo continuativo sono andati all’estero».

E perché, secondo lei?

«Perché da noi i numeri sono largamente inferiori: basti pensare all’allevamento… in Italia produciamo ogni anno quantità irrisorie di puledri in confronto a quello che accade in Olanda, Germania, Francia e Belgio… e anche la quantità di sponsor e di proprietari è diminuita tantissimo negli ultimi anni invece di aumentare… Quindi anche nel mio caso l’alternativa era andare all’estero per almeno provare a mantenere la mia carriera sportiva a un certo livello oppure accontentarmi di rimanere a un livello medio basso; ma comunque questa seconda possibilità avrebbe richiesto un consistente investimento di denaro e una buona dose di sacrificio».

Insomma, un declassamento…

«Personalmente penso che sia comunque giusto provarci sempre, io ci sto infatti provando ancora, investo molto nei cavalli giovani, adesso ne ho alcuni che penso siano abbastanza importanti e spero che qualcuno tra loro mi dia la possibilità di ricominciare la mia carriera sportiva perché la voglia c’è ancora… Però sono sincero: una volta che si sono affrontate le gare più importanti del mondo è difficile e forse anche sbagliato accontentarsi… ».

È fuor di dubbio che l’agonismo di alto livello presuppone grandi risorse che non consistono solo nella capacità di montare a cavallo.

«Appunto. Infatti nel nostro sistema cosa succede? Succede che a turno a ognuno di noi cavalieri capita il buon cavallo che ci fa fare cinque, sei o sette anni di agonismo di buon livello, ma poi dopo la fine della carriera di quel cavallo prima che ce ne ricapiti un altro di uguale qualità possono passare dieci, quindici anni… Io vedo tanti eccellenti cavalieri italiani che potrebbero dare ancora tantissimo e che potrebbero stare tranquillamente nel gruppo dei migliori del mondo se avessero cavalli all’altezza della loro capacità e qualità, e che invece purtroppo fanno fatica anche a livello nazionale. Ed è una cosa che mi dispiace molto, moltissimo».

A proposito di gare importanti, tra le sue quali sono quelle che ricorda con più piacere?

«Beh, le Olimpiadi sono state di certo l’apice della mia carriera. Ai Giochi Olimpici si vive un’atmosfera particolarissima, insieme a tutti gli atleti di tutti gli sport… ci si sostiene a vicenda, ci si emoziona gli uni per gli altri, si guardano le gare… È il sogno di tutti gli sportivi. In più ho avuto la fortuna di viverlo insieme a mio cugino Bruno che per me è un fratello… Abbiamo avuto la gran fortuna di avere entrambi due cavalli molto importanti che ci hanno permesso di vivere insieme questa esperienza meravigliosa».

Il suo rapporto con il Veneto come nasce?

«È partito tutto dalla famiglia Marioni. Io stavo in Lombardia e montavo i cavalli di Remo Speroni. Un giorno il signor Marioni mi ha parlato dicendomi che sarebbe stato felice di creare qualcosa di importante insieme a me, un importante progetto sportivo, e quindi mi proponeva di trasferirmi nelle sue scuderie a Monteviale insieme a sua figlia Alessia».

E lei ha accettato subito?

«Sì, non ho avuto nemmeno bisogno di un accordo scritto: conoscevo molto bene Alessia e suo padre, mi è bastata la parola. Così ho deciso di spostarmi immediatamente: ma non perché stessi male dove stavo, tutt’altro… anzi, Remo Speroni è stato per me una figura molto importante, mi ha dato tantissimo… Lui stesso quando ha compreso l’importanza del progetto di Elio Marioni mi ha consigliato di accettare».

In effetti quello è stato un passo importante per la sua carriera…

«Beh, direi che è stato il mio trampolino di lancio… Il signor Marioni mi ha dato la possibilità di scegliere due o tre cavalli tra alcuni soggetti giovani, e fra questi c’erano Defi Platière e Campino, per dire… A volte anche Alessia mi dava qualcuno dei suoi cavalli… Comunque siamo partiti solo con soggetti giovani, massimo 5 anni: abbiamo impiegato un po’ di tempo, ma nel giro di un quinquennio abbiamo costruito una scuderia con una decina di cavalli che saltavano in gare importanti».

Come è stato l’impatto con il Veneto?

«Ah, magnifico… ! Mi sono sentito subito a casa mia. Sono stato accettato benissimo. La nostra regione mi piace tantissimo, la qualità della vita è eccellente, ci sono impianti e strutture di primissima qualità quindi si riesce a lavorare molto bene. Appena sono arrivato ho subito pensato che il Veneto sarebbe stata la mia nuova casa: e non mi sbagliavo, ormai sono tantissimi anni che sono qui».

Facendo sempre base a Monteviale, cioè a Vicenza?

«Sì, la scuderia è lì. Io invece vivo a Padova, ma ci metto un attimo a essere dai cavalli».

Adesso poi è entrato a far parte del consiglio del comitato regionale della Fise…

«All’inizio ero un po’ scettico nel proporre la mia candidatura, lo confesso: temevo di non riuscire a dedicarmi abbastanza per questioni di tempo, ma la presidente Clara Campese mi ha convinto. Io poi ho grande stima di lei, è una donna piena di entusiasmo capace di trasferire motivazioni molto forti».

Le piace questo ruolo?

«Sì, molto. Poi a me piace vivere dentro lo spirito di squadra, e questo consiglio è proprio una squadra il cui interesse è quello di impegnarsi per lo sport e per il Veneto».

Tecnicamente parlando che realtà stiamo vivendo in Veneto in questo momento?

«Tra i giovani c’è una discreta qualità ma vogliamo incrementarla ancora di più se possibile, e proprio per questo abbiamo coinvolto diversi personaggi di alto livello che saranno presenti per incontri e stage di approfondimento. È importante incrementare la crescita a livello tecnico, è una cosa sulla quale bisogna impegnarsi sempre senza risparmio».

Sotto l’aspetto agonistico gli appuntamenti di Roma e Verona sono sempre molto sentiti da parte di tutte le squadre delle regioni d’Italia: lei si occuperà delle selezioni e della preparazione dei binomi?

«Solo della selezione. I ragazzi li seguirò solo nel ruolo di capo équipe, non in quello di tecnico. Ho voluto io che le cose fossero impostate così perché non voglio nella maniera più assoluta che possa sollevarsi la minima questione relativa a un possibile conflitto di interessi. Sono ovviamente sempre disponibile nei confronti di chiunque mi chieda un consiglio, ci mancherebbe: ma la gestione tecnica dei ragazzi non spetterà a me in vista degli appuntamenti di squadra».

Foto: 
Vincenzo Chimirri in gara nel 2014 su Kec Giorgia (ph. Marco Proli)