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LUIGI FAVARO: UNA VITA CON I CAVALLI

di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com

È uno di quei personaggi che sono parte integrante dello scenario di una regione. Prima cavaliere, poi istruttore, poi formatore, quindi dirigente e organizzatore… Luigi Favaro al mondo dello sport equestre veneto non ci è arrivato: ci è proprio nato dentro, c’è sempre stato, fin dal momento in cui ha aperto gli occhi il 23 febbraio del 1957.

«I cavalli sono sempre stati presenti nella vita della mia famiglia. Li aveva mio zio, prima ancora mio nonno… abbiamo perfino avuto un capo cocchiere in casa Savoia! Quindi mio cugino Angelo e io non avremmo potuto proprio prendere altre strade, diciamo».

Tutto questo a Vedelago, vostra base di partenza in provincia di Treviso.
Sì, certo. Un punto di partenza non solo nostro, tra l’altro: sono tanti i ragazzi che hanno mosso da lì i primi passi nel mondo dello sport equestre… penso a Gabriele Soffia, Giuseppe Corno, Giordano Cattapan, Giovanni Magaton… tutta gente che montava a Vedelago i cavalli di mio zio e di mio cugino».

Lei in sella alla grigia Bell: un vero binomio…
«Sì, e poi anche i cavalli che avevano montato Alessandro Rossi e Francesco Deriu, Silver Miller e Joice Street. Mio cugino montava i cavalli della famiglia Cazzarolli… ».

Però poi lei non ha continuato a fare il cavaliere di professione…
«No perché a un certo punto mi sono trovato a essere talmente coinvolto nel fare l’istruttore e Venezia che… ».

Alt, andiamo con ordine. Perché Venezia?
«Perché per caso sono andato al Circolo Ippico Veneziano per sostituire un istruttore che doveva assentarsi per una settimana… ed è andata a finire che ci sono rimasto otto mesi… ».

E dopo quegli otto mesi?
«Sono andato a fare il corso istruttori ai Pratoni del Vivaro, il corso del 1979/1980. E così è iniziata la mia vita… o meglio: mi è proprio cambiato il mondo, a dire il vero».

Quindi non c’era più il tempo per montare a cavallo e fare il cavaliere…
«Proprio no… A Venezia sono rimasto fino all’89, facevo praticamente tutto da solo quindi di tempo a disposizione non ne avevo assolutamente. Dopo aver lasciato il Circolo Ippico Veneziano nel 1989 sono stato a Fontane fino al 1992, poi a Spresiano fino al 2005, e dal 2005 a oggi a Portogruaro».

Però in tutto questo si è anche dedicato alla formazione, non solo di allievi ma anche di futuri istruttori…
«Dal 1989 al 1998 sono stato delegato tecnico per le Tre Venezie, poi dal 1999 al 2014 responsabile della formazione a Roma dopo Ludovico Nava e Claudio Possenti, e dal 2014 sono nella commissione formazione e d’esame degli istruttori».

Le piace questo tipo di attività?
«Molto. Mi piace e mi gratifica. Mi piace soprattutto perché si tratta di una continua crescita personale: bisogna infatti continuare a studiare, continuare a frequentare altri docenti di valore, di grande professionalità ed esperienza, altrimenti non si sarà mai all’altezza di valutare i nuovi, e soprattutto di dare loro una possibilità di reale crescita. Io non mi sono mai accontentato, non mi sono mai sentito arrivato: se ci si ferma non si riparte più».

Ed è soddisfatto del percorso compiuto fin qui?
«Direi di sì, sono soprattutto orgoglioso di aver avuto insegnanti del calibro di Ludovico Nava, Lucio Manzin, Giulietta Schiavetti, Fabio Mangilli… grandi personaggi che mi hanno indicato la strada da seguire. E poi orgoglioso anche di tutti i miei allievi che ho avuto da Venezia a Spresiano, e di quelli che sto facendo crescere oggi».

Ecco, oggi, Portogruaro…
«Sì, dall’ottobre del 2005 sono direttore tecnico e presidente di Equipolis Tiziana».

Centro del quale è sempre proprietaria Tiziana Furlanis…
«Sì, sempre molto appassionata anche se ormai da tempo non monta più a cavallo».

Come è nata la sua storia con Portogruaro?
«È accaduto che a un certo punto a Spresiano non c’è più stata la possibilità di ospitare il Campionato d’Italia di volteggio. Massimo Giacomazzo allora si è dato molto da fare per avere la disponibilità di questo impianto, riuscendoci. Così siamo arrivati a Portogruaro insieme e insieme abbiamo organizzato diverse manifestazioni, lui seguendo di più la parte degli eventi, diciamo, mentre io quella più legata allo sport. Poi Massimo è diventato il presidente del comitato regionale Fise del Friuli Venezia Giulia e io sono rimasto a fare un po’ tutto da solo».

Quindi continuando a organizzare manifestazioni agonistiche…
«Sì, questa è un’associazione sportiva dilettantistica a tutti gli effetti che organizza eventi sportivi e agonistici delle specialità olimpiche più volteggio. Possiamo contare su due maneggi coperti, campo in erba e campo in sabbia».

E c’è naturalmente anche la scuola.
«Certo: ci sono due istruttori di base, un tecnico di volteggio e una Otb. Io coordino tutta l’attività. Ma nonostante la struttura sia enorme nel complesso, i box sono comunque pochi: più di venti cavalli non riusciamo a ospitarli. E comunque i ragazzi ci sono e stanno ottenendo buoni risultati agonistici. Tutti allievi nati a Portogruaro dai livelli più elementari».

L’organizzazione di manifestazioni agonistiche è attività che funziona?
«Sì, però tenendo conto che per fare le cose fatte bene noi possiamo organizzare eventi da massimo cento, centodieci cavalli. Oggi in realtà nei concorsi ippici abbiamo ben altri numeri e anche altre aspettative: i terreni dei campi di gara guai se non sono in sabbia silicea… Io invece sono un po’ più tradizionalista, oltre al fatto che i nostri terreni devono servire anche all’attività quotidiana, non solo a quella agonistica. Comunque facciamo le nostre cose, questo è sicuro: facciamo concorsi di dressage, abbiamo fatto anche riunioni di turismo equestre, rassegne di allevamento… cose che per la nostra logistica sono sicuro che possano funzionare».

Anni fa il campo ostacoli in erba di Portogruaro era un’eccellenza…
«Sì, ma oggi in erba non ci va più nessuno. Francamente pensavo che con il ritorno dell’erba in Piazza di Siena un po’ di cose si sarebbero mosse, sarebbero cambiate… solo che tutte le gare nazionali che si fanno a Roma le hanno convogliate sul campo del galoppatoio che è in sabbia, quindi… niente da fare!».