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Il Comitato

MARIAGRAZIA BREGOLI: UNA DONNA, IL CARCERE, I CAVALLI

di Umberto Martuscelli

2021.07.19 - Mariagrazia Felicita Bregoli dirige la Casa Circondariale di Montorio a Verona, istituto che è stato inaugurato il giorno 1 aprile 1995.

Per capire chi sia Mariagrazia Bregoli al di là del suo formale ruolo istituzionale è molto utile considerare alcune voci – tra le tante – del suo curriculum: laurea in giurisprudenza con una tesi dal titolo “Lavoro all’esterno art. 21 dell’ordinamento penitenziario”, diploma di specializzazione post-laurea in criminologia clinica a indirizzo psicologico presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’università di Modena con tesi in psichiatria forense dal titolo “La revoca anticipata della misura di sicurezza dell’Opg”, attività di ricerca presso l’istituto di medicina legale dell’università di Brescia, docenza in diritto di famiglia e diritto penale presso la scuola per educatori professionali della regione Lombardia all’università di Brescia.

Ebbene, perché queste ‘voci’ sono particolarmente significative? Perché dimostrano inequivocabilmente come l’interesse e l’attenzione di Mariagrazia Bregoli siano concentrati su un soggetto preciso: la persona, l’essere umano, il cuore e l’anima e il pensiero dell’essere umano. Ecco spiegato il motivo per cui lei insieme a Clara Campese e ad Armando Di Ruzza – rappresentando la Casa Circondariale di Montorio, il comitato regionale Fise del Veneto e la Fieracavalli di Verona – ha dato vita al progetto di due corsi di formazione professionale (in mascalcia e per diventare tecnici responsabili di scuderia) all’interno del carcere, iniziativa di cui potete leggere il dettaglio qui (inserire link a notizia pubblicata).

«Il principio di partenza è semplice e si basa su un concetto molto chiaro: la finalità della pena carceraria è la risocializzazione. Detto questo, il passo successivo è domandarsi in quale modo raggiungere nel concreto questa finalità. Ecco dunque questo splendido progetto pensato con Fise Veneto e con Fieracavalli Verona che si presta perfettamente allo scopo: si tratta di una convenzione che permette ai detenuti di iniziare un percorso trattamentale intramurario con l’obiettivo poi di uscire dall’istituto per avviare invece un percorso extramurario».

Quindi i corsi di formazione verranno svolti all’interno del carcere?

«Esatto. I detenuti all’interno dell’istituto seguiranno i corsi di formazione in mascalcia e per diventare groom di scuderia. Una volta che il percorso terminerà, l’obiettivo sarà proprio quello di favorire un percorso lavorativo per ciascuno di loro».

Come verranno individuate le persone che seguiranno i corsi?

«Saranno una decina, li abbiamo già selezionati. La selezione si basa sulla condotta del detenuto e sulla sua motivazione: cioè sono interessato a questa attività perché ne capisco il senso, il significato, e perché mi piacciono i cavalli… Quindi: comportamento corretto intramurario e motivazione. Poi verifichiamo i criteri di ammissibilità per poter lavorare all’esterno secondo l’articolo 21 della legge penitenziaria e per la concessione di misura alternativa. L’obiettivo infatti è quello di arrivare a una occupazione lavorativa concreta e vera».

Il che non sarà facilissimo…

«Spesso quando facciamo i corsi ai detenuti ci sentiamo dire: io adesso so fare il muratore, so fare l’elettricista… ma dove lavoro? Ed è una domanda giusta: noi i corsi li facciamo proprio perché poi le persone coinvolte trovino realmente un’occupazione lavorativa. Noi diciamo al detenuto: hai fatto il tuo percorso, ti sei preso la qualifica, ti sei distinto per impegno e per capacità, hai i requisiti soggettivi che consistono nella regolarità del comportamento, hai i requisiti oggettivi cioè le posizioni giuridiche… pertanto puoi avere un beneficio extra murario, quindi uscire e lavorare secondo le previsioni normative della legge penitenziaria. Nel caso specifico di cui stiamo parlando, scegliamo detenuti con i requisiti di ammissibilità alle misure che consentono di espiare la pena all’esterno del carcere».

Il concetto della risocializzazione è importante…

«Fondamentale. La domanda è sempre la stessa, quando vengono proposte iniziative a favore dei detenuti: qual è l’efficacia risocializzante di questo progetto? Quali benefici ne trae il detenuto in un’ottica proiettata non solo sul momento della detenzione, ma soprattutto verso la fine della detenzione? Ecco, questo progetto ha tutti i requisiti per poter iniziare in carcere e poi proseguire estendendosi all’esterno del carcere. È un’opportunità straordinaria per i detenuti i quali hanno così la possibilità di imparare un mestiere che sappiamo bene essere abbastanza di nicchia: però qui nella zona di Verona ci sono scuderie e maneggi in gran numero, quindi verosimilmente c’è la speranza che possano anche trovare un’occupazione».

Sembra di capire che lei abbia un’esperienza personale diretta con i cavalli…

«Quando ero bambina montavo a cavallo, sono nata in un paesino in montagna dove gli animali erano più numerosi degli abitanti e in famiglia avevamo i cavalli. Mia figlia monta a cavallo. Io i cavalli li amo, sono animali straordinari… ».

Ma la presenza fisica dei cavalli all’interno del carcere come sarà organizzata?

«I cavalli sono già presenti in carcere. La scuderia c’è già ormai da qualche anno. Tutto questo grazie a un progetto avviato anni fa con l’associazione Horse Valley, quando però non era ancora prevista la permanenza dei cavalli all’interno del carcere, cosa che è avvenuta in seguito grazie all’ampliamento del progetto con la sottoscrizione di una convenzione con l’istituto zooprofilattico delle Venezie: i primi cavalli erano soggetti sequestrati dal corpo forestale dello Stato e quindi consegnati in custodia al carcere. Adesso sono cavalli che hanno finito la loro carriera agonistica e quindi non avrebbero più una loro collocazione».

Anche in questo si dimostra l’importanza del cavallo nel rapporto con il mondo degli esseri umani…

«Il cavallo garantisce un enorme valore nel nostro contesto perché nel rapporto con il detenuto lo aiuta a responsabilizzarsi, ad avere capacità di autocontrollo e di autodeterminazione, oltre a dare la possibilità di una relazione emotiva e sentimentale, affettiva. Per stare con gli animali bisogna amarli e rispettarli, un esercizio di comportamento che si rivela molto utile poi anche nella relazione con gli altri esseri umani».

Questo è esattamente lo stesso motivo per cui Vincenzo Muccioli aveva creato la scuderia all’interno della comunità di San Patrignano.

«I detenuti in carcere e gli ospiti di San Patrignano hanno in comune un elemento: non aver rispettato le regole. E non aver saputo mantenere un impegno con costanza. Occuparsi di un cavallo vuol necessariamente dire rispettare una serie di regole, vuol dire costanza nell’impegno, continuità nell’impegno. Prendersi cura di qualcuno non vuol dire farlo sono quando se ne ha voglia: è un impegno che non ammette eccezioni, né cedimenti. Quindi stimola moltissimo il senso di responsabilità».

Quanti detenuti ci sono in carcere a Montorio?

«Più o meno cinquecento».

Questo nuovo progetto che li riguarderà è nato con il comitato regionale veneto della Fise e con Fieracavalli.

«Sì, da tanto tempo noi abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione con Fieracavalli. Tutti gli anni mandiamo alcuni detenuti in fiera per lavorare con diverse mansioni, tipo l’allestimento dei box o degli stand e altre attività di volontariato. E a un certo punto con Fieracavalli e con Fise Veneto e dal confronto tra noi è nata l’idea di creare dei veri e propri corsi di formazione altamente qualificati e spendibili sul territorio».

Lei sembra entusiasta di questo progetto…

«È un progetto che prevede impegno, inclusione sociale, formazione professionale, lavoro, opportunità di riscatto e soprattutto pieno e totale rispetto del dettato costituzionale: io in quanto direttrice di carcere guardo il progetto in quest’ottica. E con entusiasmo, sì!».