Quattro chiacchiere con Bruno Chimirri, ospite per la prima volta del Comitato per uno stage rivolto ai young riders e juniores. Piemontese “d’adozione”, da anni legato alla nostra Regione, il campione azzurro si è fermato due giorni presso le strutture dell’ASD Del Rampante ad Abbadia Alpina, prima di ripartire per il Memorial Gen. Dalla Chiesa che lo aspetta a Bologna.
Iniziamo parlando dei partecipanti allo stage...
Il livello dei ragazzi è molto alto e questo ha permesso di curare i particolari, i dettagli, e non soltanto le basi dell’equitazione. Per me è uno degli stage che fino ad oggi è riuscito meglio. L’equitazione in Piemonte è migliorata molto da quando l’ho lasciata nel 2007. Ho trovato i ragazzi molto più allineati con la preparazione agonistica di oggi e penso che questo dipenda da una formazione più attenta e da un quadro tecnico, gestito dal Colonello Oppes, che ha dato i suoi frutti.
Com’è nata la passione per l’equitazione?
Da ragazzino la cosa che aspettavo di più era andare a montare, stare con i cavalli. Se potevo dormire in scuderia, in qualche alloggio di fortuna, era felicissimo. È stata una passione talmente forte che è poi diventata un lavoro, ma qualsiasi cosa faccia, ogni sacrificio od ostacolo che incontro, non mi pesano: si vede che era la scelta giusta.
Una riflessione sulle tue ultime stagioni agonistiche.
Vengo da un quadriennio eccellente sia da un punto di vista di risultati personali, che della squadra italiana. Poi c’è stata la pandemia e la non qualifica olimpica: la coesione di queste due problematiche ha costretto gran parte dei cavalieri a trovare del tempo per riorganizzarsi. Io l’ho fatto concentrandomi sui cavalli giovani, che hanno saltato molto bene in questa stagione, vincendo dei Gran Premi e le finali dei 7 anni ad Arezzo. Sono cavalli su cui conto molto e che sono sul trampolino di lancio per l’anno prossimo. Mi concentrerò su questa crescita per far sì che la prossima stagione siano pronti per eventuali Campionati e qualifiche olimpiche.
Che cosa fa la differenza tra un buon cavaliere e un campione?
La "fame". Per fortuna Dio ne dà tanta e a pochi, e quelli che ce l’hanno se la devono tenere stretta. “Fame” significa non essere mai sazi di imparare, di lavorare, cercare sempre di migliorarsi, di mettersi in discussione per crescere e avere sempre, sempre voglia di andare avanti, più in alto, di costruire, di ripartire, di non abbattersi di fronte alle problematiche che in questo sport sono sempre tante. Non bisogna arrendersi.