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Redditometro, addio? L’affetto non si tassa

L’affetto non si tassa è il bel titolo scelto da Cavallo Magazine per la sua copertina di aprile. Una splendida apertura dedicata al tema oggi probabilmente più caldo per gli appassionati di equitazione, già trattato il mese scorso da un’inchiesta di Antonio Terraneo, intitolata “I cavalli sportivi meritano una fiscalità più equa” (La Voce Equestre l’ha riproposta integralmente il 1° marzo).
L’articolo, firmato stavolta da Maria Cristina Magri, fa il punto della situazione con grande chiarezza: per chi, con piena legittimità, vive il redditometro come un incubo, la sola certezza al momento è la sentenza emessa dalla Commissione tributaria di Asti. Quella che, appunto, ha finalmente sancito la differenza tra le tipologie di utilizzo dei cavalli. Un successo, per tutti gli interessati, che stabilisce un precedente peraltro ancora incerto, di sicuro – purtroppo – non definitivo, come lucidamente indica la stessa giornalista: ancora non si sa, per ora, se l’Agenzia delle Entrate deciderà di insistere sul suo punto di vista, appellandosi alla Commissione tributaria regionale e magari anche alla Cassazione.
Sta di fatto che la decisione di Asti pare destinata, per lo meno in questa fase, a fare da spartiacque tra quello che è stato e quello che (si spera) non sia più. E, accanto alla sentenza, qualche solida certezza agli amanti del cavallo può fornirla l’atteggiamento scelto dalla FISE da un anno e passa a questa parte. L’atteggiamento, tanto per ricordare i fatti, che ha portato il presidente Andrea Paulgross a trovare un riferimento stabile all’interno della stessa Agenzia delle Entrate, a proporsi come concreto interlocutore del fisco, ad aprire un tavolo di confronto sui cambiamenti che gli stessi responsabili dell’Erario hanno a più riprese definito indispensabili (e che difficilmente potranno essere rispecchiati dal criticabilissimo “nuovo redditometro” impostato a novembre del 2011). Lo stesso atteggiamento di difesa dei diritti di un movimento di appassionati che ha poi portato, alla vigilia di Natale, a proporre le innovazioni dello Statuto votato a Lido di Camaiore dall’assemblea della FISE: quelle che hanno determinato la nuova figura del cavallo-atleta, inquadrabile d’ora in poi come un vero e proprio protagonista dello sport a livello agonistico, non più come elemento di possesso indice di chi sa quali ricchezze sommerse.
In attesa di ulteriori sviluppi, e a fronte del confermatissimo impegno della FISE, è davvero interessante leggere l’ampio servizio di Cavallo Magazine. Eccolo.
L’antefatto. Tra il 2009 e il 2010 ad Asti vengono convocati dall’Agenzia delle Entrate diversi proprietari di cavalli: viene loro contestato un reddito incompatibile con le presunte entrate, accertate sinteticamente tramite l’art. 38 del DPR 600/1973 sulla base dei beni indice individuati dal DM del 10 settembre 1992, meglio conosciuto come Redditometro, entrate per almeno 27.000 euro: per l’Agenzia delle Entrate la differenza tra questi 27.000 euro di reddito presunto pro-capite equino e quanto da loro dichiarato è una cifra oggetto di evasione fiscale, su cui dovranno pagare una sanzione amministrativa pecuniaria. Uno di loro farà ricorso contro l’Agenzia delle Entrate, impugnando l’atto impositivo: la Commissione tributaria di Asti gli darà ragione.
Sin da qui la fredda cronaca ma la vita vera è un’altra cosa, e nemmeno l’asettica precisione del linguaggio burocratico riesce a nascondere cosa c’è dietro quella grandinata di numeri e riferimenti di legge. Perché quel “cavallo da equitazione” contemplato dal Dm del 1992 (tra l’altro ormai obsoleto, e riformato ad opera dell’art. 22, DL 78/2010) è spesso un cavallo da compagnia, un vero e proprio animale da affezione. Uno di quelli che tanti di noi si tengono dietro casa o in qualche circolo a gestione familiare, dove le spese non sono insostenibili nemmeno per gente normale, con un lavoro normale e buste paga che certo non arrivano nemmeno vicino ai 2.000 euro mensili ipotizzati dal “fu” Redditometro; un cavallo da passeggiata, per quei piccoli impegni da dilettanti che ti aiutano a dare un indirizzo al lavoro di tutti i giorni; un cavallo che ci fa da terapia anti-stress e chi se ne importa se ormai è anzianotto o con qualche acciacco… a noi basta che ci sia e al diavolo le Olimpiadi, a quelle penseremo in un’altra vita.
Per questo tutti ci siamo sentiti coinvolti dalle vicende di quei colleghi di passione fatti segno di una vicenda per certi versi assurda, per questo abbiamo tutti seguito con il cuore in gola le vicende di chi doveva affrontare una battaglia che era ed è, in fondo, una battaglia di tutti. Ci vuole coraggio ad affrontare certe sfide, un coraggio che può essere nutrito solo dalla convinzione delle proprie buone ragioni e da un forte senso di responsabilità: un coraggio che è stato premiato anche perché ad Asti, il 31 gennaio del 2012, la Commissione Tributaria Provinciale ha emesso una sentenza (per il momento) storica. Che potrebbe essere ribaltata da quella Regionale, teoricamente: occorre ricordarlo. Scrivono infatti i giudici tributari: “...è palese che l’equitazione è quell’attività sportiva che postula l’impiego professionale di cavalli di valore, onerosi nel mantenimento, nel trasporto e soprattutto nell’addestramento oltre che nell’acquisto; dunque, non semplicemente ‘l’arte di cavalcare’”.
Che detto così ha poco éclat, ma in realtà è fantastico: perché vuol dire che la macchina amministrativa è riuscita a percepire la differenza tra il cavallo da professionisti dell’equitazione (e relativi alti costi di acquisto e gestione) e i cavalli da affezione. Questo non ha solo un impatto burocratico, non è soltanto una finezza fiscale e semantica: è soprattutto un modo di riportare il dibattito su un terreno di diritto e civiltà e ridare fiducia in uno Stato che non sia solo un cieco censore, ma abbia la capacità di migliorare i propri strumenti per ottenere veramente il bene per tutti – cioè la lotta all’evasione fiscale. La sentenza di Asti ha ridato speranza perché fa sentire la burocrazia capace di proteggere i contribuenti, non soltanto pronta a punirli a priori: e questo è un ottimo punto di partenza per cominciare a lavorare davvero sulla materia, sicuramente non semplice da affrontare in modo adeguato.
Mentre scriviamo non sappiamo ancora se l’Agenzia delle Entrate deciderà di proseguire con i gradi di giudizio appellandosi alla Commissione Tributaria Regionale, e magari alla Cassazione: quindi in realtà non è possibile sapere con certezza se veramente le cose sono cambiate per i normalissimi “dilettanti di cavalli”. Ma certamente la Commissione di Asti ha colto nel segno, e pur non rappresentando questa vicenda un precedente vincolante (potrebbero essere contestati altri casi di specie, a discrezione degli accertatori) sarà improbabile non tenerne conto nella prassi.
Per il momento quindi siamo tutti in attesa: di eventuali mosse dell’Agenzia delle Entrate di Asti, di un po’ di giurisprudenza consolidata o magari di un preciso indirizzo del Ministero delle Finanze… E, mentre aspettiamo, che sia il caso di pensare a quale altezza mettere la barriera che screma i cavalli da affezione dagli agonisti di lusso? Il prossimo ostacolo sarà questo, siatene certi.
Il Redditometro che verrà
Mentre l’erba cresce e i cavalli campano, si lavora per mettere a punto il nuovo Redditometro: ancora in fase sperimentale, è partito nel novembre 2011 e ha sollevato subito le perplessità di veterinari e proprietari, che non apprezzano l’inclusione delle spese veterinarie tra le “altre spese significative”, equiparate all’acquisto di beni di lusso come oggetti d’arte, antiquariato, preziosi e via dicendo. Notevole che tutto l’arco costituzionale sia unito e solidale nell’invitare l’Esecutivo a intervenire nel merito: dalla deputata Brambilla alla Senatrice Amati, dall’onorevole Mancuso al presidente della Regione Piemonte Cota (per citarne solo alcuni), sono molte le iniziative tese ad attirare l’attenzione del Governo sul problema. Che sia la volta buona? Non solo per i cavalli, ma anche per il buon vivere civile e democratico.
Ma quanto gli costi?
Dopo le rimostranze della FISE in merito ai criteri del nuovo Redditometro, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, sentito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha dato incarico all’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani di determinare il costo annuale di un cavallo da affezione (come potrebbe essere un vecchio cavallo al prato, per intenderci), mantenuto al domicilio dal proprietario stesso. L’Anmvi ha qualificato tale spesa in 1.500 euro annui, comprensivi di spese veterinarie e di ferratura.”

E c’è anche un’appendice al bel pezzo di Cavallo Magazine. Un interessante boxino intitolato: “Piccoli sogni fiscali”. Eccone il testo.
Se l’Agenzia delle Entrate fossimo noi, compileremmo subito una precisa lista di soggetti equini indicatori di rinunce (e non di reddito), che risulterebbe in un Decreto legge del tutto speciale chiamato Meritometro. Comprenderebbe: i cavalli non più utilizzati per anzianità o infortuni, i soggetti per l’ippoterapia, quelli salvati dal macello o ritirati dalle piste, tutti i cavalli posseduti senza fini agonistici, produttivi o allevatoriali… Certo le prospettive di realizzo da parte delle Agenzie delle Entrate diminuirebbero. Ma quanto aumenterebbero invece le probabilità di una meritata, serena vecchiaia per tutti gli ex giovani e prestanti “cavalli da equitazione”, una volta terminata la carriera attiva? Se vogliamo davvero evitare che gli equini finiscano al macello, l’unica strada possibile da seguire è non rendere impossibile la vita a chi si assume il peso del loro mantenimento: altrimenti qualsiasi progetto, per quanto accattivante e sentimentale, rimarrà privo di reale significato”.

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