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2012, l’ippica sull’orlo del baratro

(s.p.) Il 2012 si è appena aperto con uno scenario angosciante per gli appassionati di ippica. Il mondo dei cavalli da corsa è davvero sull’orlo del baratro. Il primo giorno dell’anno ha segnato una data tristemente storica, con la serrata dei quarantadue ippodromi italiani, decisa da allevatori, driver, presidenti di giuria. Una decisione che ha provocato un autentico choc, non solo tra gli appassionati. Anche i media hanno dato largo risalto allo straordinario momento di crisi. E quotidiani che, di norma, riservano poche righe alla realtà dei cavalli hanno approfondito l’argomento con evidente interesse. E’ di oggi l’analisi-inchiesta dal titolo fin troppo esplicativo (“Non si uccidono così anche i cavalli da corsa”) affidata da “La Repubblica” a due firme di assoluto prestigio, Gianni Clerici e Corrado Zunino. Ed è di questi giorni l’intervento di Antonio Terraneo su “Libero”, annunciato da un titolo se possibile ancora più inquietante: “Il blocco degli ippodromi italiani condanna a morte 15mila cavalli”. Pensiamo sia giusto riprenderlo anche in questo spazio, su questa “Voce Equestre” che da oggi ricomincerà a raccontare le vicende di un mondo parallelo all’ippica, quello appunto dell’equitazione, che vive come noto i suoi problemi, ma certo pare notevolmente lontano, per oggettiva consistenza, per qualità organizzativa e capacità progettuale, da certe situazioni di assoluto allarme. Ecco dunque il pezzo di Terraneo, che tra l’altro è anche nostro apprezzatissimo collaboratore: lo pubblichiamo per documentare una realtà che sentiamo comunque vicina, ma soprattutto nella speranza che chi può tra i grandi manovratori (in prima fila lo Stato, che ha di certo mille altri problemi, ma dovrebbe provare a risolvere anche questo) arresti la corsa sfrenata dell’ippica, da troppi anni abbandonata a sé stessa, verso quello che sarebbe un massacro inevitabile.


di Antonio Terraneo (*)


Varenne, Tony Bin, Ribot e tutta la serie di fantastici campioni prodotti dall’allevamento italiano potrebbero non vedere in pista i propri eredi. L’ippica italiana si ferma, e 15mila cavalli rischiano la macellazione. Il palinsesto del corse offre solo corse straniere: dalla Francia, dall’Inghilterra, persino dal Sud Africa, ma in Italia gli ippodromi resteranno chiusi.
Va in scena l’ennesima puntata del teatro dell’assurdo di cui la base (cioè le 50mila famiglie che vivono di pane e cavalli) non ha nessuna colpa. La responsabilità va invece ricercata nelle scelte sciagurate dei leader che si sono alternati prima del’attuale dirigenza – che ha ereditato una situazione fallimentare – sulle sedie dell’Unire (Unione nazionale incremento razze equine).
In 10 anni sono stati scialacquati patrimoni in denaro e competenza, sacrificati sull’altare dell’inciucio. Le scommesse ippiche hanno perso appeal, passando dal 30 all’1,5% di quota del mercato dei giochi.
Dopo Luca Zaia – che aveva di fatto garantito la sopravvivenza e il potenziale rilancio di un settore storico per tre anni – al ministero delle Politiche agricole si sono alternati personaggi in cerca d’autore che tranne chiacchiere e promesse nulla hanno fatto per salvare i cavalli.
Non meglio, per non dire peggio, hanno fatto i commissari, presidenti e segretari generali che si sono succeduti al ritmo frenetico in via Cristoforo Colombo. E pensare che qualcuno di loro, che ha regnato per un lustro, sta cercando ancora di riciclarsi inventando improponibili battaglie. Ridicolo.
La situazione di oggi vede i cavalli senza la biada per vivere (il montepremi è stato tagliato del 45%, mentre nella sede dell’Unire scorazzano ancora 150 dipendenti). Per dare una svolta positiva e non mandare al macello uomini e cavalli, il segretario generale Francesco Ruffo, arrivato con 13 anni di ritardo nel posto che gli spettava di diritto, sta cercando di fare miracoli, insieme al commissario Varrone, ma non ha risorse a disposizione. In questo momento di fallimento si segnala l’intenzione dei leader dei Monopoli di stato di attuare delle politiche per tentare il rilancio.
L’Erario potrebbe rinunciare come già fatto a suo tempo per il Bingo alle percentuali di prelievo, si dovrebbe abolire il doppio totalizzatore. L’Ente potrebbe fare una sana cura dimagrante (il personale in esubero potrebbe essere dirottato ai Monopoli) e mettere in atto una campagna forte di comunicazione per fare conoscere alle nuove generazioni il fascino del cavallo. E poi, appena possibile, privatizzare un settore che oggi è strangolato dalla politica. L’alternativa è solo il macello.


(*) L’articolo è uscito il 31 dicembre su “Libero”.

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